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iPadOS 26, finalmente l’iPad è diventato un Mac – o quasi

Si apre l’iPad, si collega la Magic Keyboard, e per la prima volta in quindici anni di vita del tablet di Cupertino ci si ritrova davanti a una barra dei menu (anche se trasparente). Proprio come su Mac.

È il momento in cui si capisce che iPadOS 26 non è il solito aggiornamento incrementale, bensì una vera e propria rivoluzione copernicana. Quella che Apple ha preparato da un decennio e più in silenzio, facendocela sospirare per poi svelarla con la consueta nonchalance.

A vederlo da fuori, senza cioè averlo installato e messo alla prova (ammesso che sia pronto) questo è il sistema operativo che gli utenti iPad chiedevano da tre lustri, quello che doveva arrivare già con la prima versione di iPadOS nel 2019, quello che trasforma finalmente il tablet in un computer vero. Altro che Apple Intelligence. Serviva questo, se non altro per giustificare il prezzo degli iPad Pro più cover-tastiera originale.

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Guardiamo le cose per bene. La barra dei menu non è un dettaglio cosmetico, un omaggio grafico, ma il simbolo di una trasformazione profonda. Per la prima volta le finestre delle app di iPad sono vere finestre, nel senso più tradizionale del termine: si possono ridimensionare, spostare, sovrapporre, minimizzare con i classici pulsanti colorati che ogni utente Mac conosce a memoria.

Se l’uso dei computer è basato su meccanismi consolidati, allora l’esperienza di iPad diventa improvvisamente familiare per chi arriva dal mondo desktop. Eppure tutto questo, almeno a vedere dalle demo, mantiene quella fluidità touch che ha sempre caratterizzato l’iPad. È come se Apple avesse finalmente trovato la quadratura del cerchio, conciliando due filosofie di utilizzo che sembravano inconciliabili.

iPadOS 26 avvicina iPad al Mac con multitasking evoluto
iPadOS 26 avvicina iPad al Mac con multitasking evoluto

Il segreto forse è più in macOS che non in iPadOS: non esistono versioni dei computer Mac di Apple che abbiano lo schermo touch e l’hardware è molto più “affinato” come componentistica rispetto a quello dei Mac, anche se apparentemente i processori sono gli stessi. Che sia questo il motivo?

Multitasking e cursori

Sia quel che sia, il multitasking smette di essere una battaglia contro l’interfaccia e diventa naturale come respirare. Stage Manager, che nella sua prima incarnazione sembrava più un esperimento accademico che una funzione utilizzabile, ora diventa utile davvero: raggruppa le app in spazi logici, permette transizioni fluide, e si ricorda persino le posizioni delle finestre. Pensa te, che miracolo.

Invece, Exposé mostra tutte le finestre aperte con un gesto, esattamente come su macOS, mentre il cursore abbandona il suo aspetto circolare per diventare una classica freccia: piccolo dettaglio che fa la differenza tra sentirsi a casa o sentirsi ospiti. Abbiamo passato anni a disquisire il perché e il percome di un cursore a pallina, a forma di polpastrello praticamente, e adesso in una notte c’è stata la rivoluzione. Evviva la rivoluzione.

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Ma la vera rivoluzione si chiama Liquid Glass, e non è solo un restyling. Il nuovo linguaggio di design, ispirato al visionOS di Apple Vision Pro, porta trasparenze, riflessi e profondità che creano una gerarchia visiva inedita su iPad.

Non si tratta di effetti speciali fine a se stessi, ma di un modo per rendere più leggibile e navigabile un’interfaccia che ora deve gestire complessità da sistema desktop. E lo fa simmetricamente a iPhone e soprattutto a Mac: le regole diventano uguali per tutti. Le trasparenze aiutano a distinguere i livelli, i riflessi danno senso di profondità, le animazioni guidano l’occhio verso l’elemento giusto.

Ci sono varie altre cose (e non mi riferisco all’app per i giochi) che segnano il cambiamento. Ad esempio, l’arrivo dell’app Anteprima su iPad è forse il simbolo più eloquente di questa metamorfosi. Per anni Apple ha tenuto separate le funzionalità di iOS/iPadOS da quelle di macOS con una rigidità quasi ideologica, come se ammettere che certe app desktop potessero funzionare su tablet significasse tradire la purezza del paradigma touch. Ora quella diga è crollata: Anteprima porta su iPad la gestione professionale dei PDF, le annotazioni avanzate, la manipolazione delle immagini. È la conferma che il confine tra tablet e computer non è più una linea invalicabile.

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Il salto di qualità è notevole

Il multitasking reale, quello che permette a Final Cut Pro di esportare un video in background mentre si lavora su altre app, segna il passaggio definitivo dall’iPad giocattolo all’iPad strumento di lavoro. I chip Apple Silicon hanno reso possibile quello che sembrava impossibile: un dispositivo che unisce la portabilità di un tablet alla potenza di calcolo di un computer desktop. Non è più necessario scegliere tra mobilità e prestazioni, tra semplicità d’uso e funzionalità avanzate. È la promessa originale dell’iPad che finalmente si realizza.

La gestione delle finestre in stile macOS risolve il problema più annoso dell’iPad: la sensazione di claustrofobia che si provava quando si cercava di lavorare seriamente con più app. Ora le applicazioni respirano, occupano lo spazio che serve, si organizzano secondo logiche comprensibili. Il tiling automatico, che affianca le finestre trascinandole ai bordi dello schermo, funziona come ci si aspetta che funzioni. È la fine della lotta contro il sistema operativo per ottenere quello che su qualsiasi altro computer è scontato.

L’interfaccia unificata tra iPad e Mac attraverso Liquid Glass non è solo un vezzo estetico ma una strategia precisa. Apple sta creando un ecosistema dove passare da un dispositivo all’altro non richiede di reimparare tutto, dove muscoli memoria e abitudini si trasferiscono senza traumi. È la realizzazione di quella continuità che da anni viene promessa ma spesso risultava più teorica che pratica. Ora funziona davvero, e si sente.

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I limiti che restano (per ora)

Eppure, trasformare l’iPad in un Mac non significa che l’iPad sia diventato un Mac. Le differenze strutturali restano profonde e probabilmente insormontabili. L’architettura delle app iOS/iPadOS è fondamentalmente diversa da quella macOS: più sicura, più sandboxed, ma anche più limitata nelle possibilità di interazione tra processi e sistema. Chi sviluppa software sa che portare un’applicazione complessa da Mac a iPad significa spesso riscriverla da capo, non semplicemente adattarne l’interfaccia. Ingegneristicamente non dovrebbe essere così, ma poi nella pratica alle app migliori succede proprio così.

Ancora, la gestione dei file, nonostante i miglioramenti di iPadOS e in generale dell’app Files anche su iOS, non raggiungerà mai la versatilità del Finder. Il file system iOS resta nascosto, protetto, inaccessibile agli utenti avanzati che su Mac possono mettere le mani ovunque. È una limitazione voluta, che garantisce stabilità e sicurezza al prezzo della flessibilità. Il terminale non c’è e probabilmente non ci sarà mai: Xcode rimane un’esclusiva Mac, così come tutta la galassia degli strumenti di sviluppo professionali.

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Anche il software di terze parti racconta una storia di convergenza incompleta. Adobe Creative Suite su iPad è ancora la versione “junior” di quella desktop: Photoshop funziona bene ma non ha tutte le funzioni, Illustrator è arrivato da poco, InDesign manca completamente. I workflow professionali che su Mac sono consolidati da decenni sull’iPad devono ancora essere inventati, testati, perfezionati, nonostante le nuove Shortcuts e le nuove funzionalità di Spotlight. È un processo che richiederà tempo, molto tempo.

Le periferiche restano un capitolo a parte. L’iPad può collegarsi a molti dispositivi esterni, ma non a tutti quelli che un Mac accetterebbe senza problemi. Stampanti, scanner, dispositivi USB specializzati spesso richiedono app dedicate o non funzionano affatto. È il prezzo della semplicità: meno compatibilità universale, più controllo dell’esperienza utente. Una scelta che può essere giusta o sbagliata a seconda delle necessità di ciascuno.

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Il futuro è ibrido

iPadOS 26 non risolve il dilemma “iPad o Mac”, lo ridefinisce. Non crea un dispositivo che sostituisce tutto, ma uno che fa molte cose meglio di chiunque altro. Per uno studente universitario che deve prendere appunti, leggere PDF, scrivere tesine e presentare progetti, l’iPad con iPadOS 26 è probabilmente il dispositivo ideale. Per un creativo che alterna design digitale, annotazioni a mano libera e presentazioni client, la combinazione di potenza, portabilità e versatilità input è imbattibile.

Ma per uno sviluppatore che deve gestire repository Git, compilare codice, debuggare applicazioni e amministrare server, il Mac resta insostituibile. Per chi lavora con software legacy, applicazioni verticali o flussi di lavoro che richiedono accesso completo al sistema, iPadOS 26 è un passo avanti enorme ma non definitivo. È la natura ibrida dell’iPad che emerge: non più tablet, non ancora computer, ma qualcosa di nuovo che sta nel mezzo.

A questo punto è lecito chiedersi da che parte stiamo. Cosa ne pensiamo. La vera risposta è che è ancora presto per dirlo, perché come sappiamo il diavolo sta nei dettagli. Le implementazioni migliori sulla carta devono poi reggere la prova del nove dell’utilizzo sul campo.

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Tuttavia, una cosa secondo noi va detta. L’intenzione c’è e si vede. Quindi, la vera domanda non è se iPadOS 26 trasformi l’iPad in un Mac, ma se il Mac riuscirà a tenere il passo con l’evoluzione dell’iPad. Apple ha creato due linee di prodotto che si avvicinano senza mai toccarsi, mantenendo identità distinte ma adesso sempre più convergenti. È una strategia rischiosa ma intelligente: permette di soddisfare utenti diversi senza cannibalizzare i propri prodotti.

Il futuro che si intravede con iPadOS 26 è quello di un ecosistema dove la scelta tra iPad e Mac non dipende più da limitazioni tecniche ma da preferenze d’uso. Dove la domanda non è “cosa può fare” ma “come preferisco farlo“. È il computer che si adatta alla persona, non il contrario. E forse, alla fine, è esattamente quello che Steve Jobs aveva in mente quando immaginava l’iPad: non un Mac più piccolo, ma qualcosa di completamente diverso che risultasse, paradossalmente, più familiare.

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